Il Difficile Non è Uscire Dall’Euro Come Molti Credono, ma è Gestire L’Uscita e adottare Misure Precise e Senza Errori Dopo.

Vittorio Boschelli
Abbiamo sempre sostenuto al contrario di molti Luminari che l’uscita dall’euro non sarebbe avvenuta perchè lo decidevamo NOI POPOLO o i “politici” mezze calzette, certo era auspicabile in un paese “Normale” ma noi viviamo in un MONDO che di Normale ha poco o nulla! Quindi abbiamo sempre affermato che l’EURO sarebbe stato Affossato proprio dai suoi FAUTORI e REGGENTI i Vituperati MERCATI appena recuperato i LORO SOLDI CON GLI INTERESSI CONGRUI, con la CERTEZZA DI PERDERLI sempre più forte ogni giorno che passa, e così sarà! Solo dopo ci sarà una METAMORFOSI DEI POPOLI con una predominanza d’iniziativa di quei Popoli Storicamente più Nazionalisti e con il senso D’Appartenenza COLLETTIVO, rispetto a Noi Italiani!
Keyines affermava che: “è molto meglio per uno stato fallire in modo convenzionale, anzichè fallire in modo anti-convenzionale” Tradotto significa che è molto meglio FALLIRE perchè uno STATO lo Decide LUI, Concordato, e si organizza in modo da Meritare la Credibilità FUTURA, PAGANDO TUTTO il Possibile Ragionevole, anzichè FALLIRE perchè lo decidano ALTRI e RINNEGANDO TUTTO IL DEBITO CONTRATTO.
Partendo da questa affermazione di Keynes che noi abbiamo sempre sostenuto, affermavamo e denunciavamo la MANCANZA di un PROGETTO POLITICO in ITALIA, nonostante l’evidenza dei FATTI, e la cieca VISIONE POLITICA della classe dirigente del nostro paese.
Abbiamo sempre affermato che non bastava cambiare il nome ad una MONETA per risolvere il DANNO causato da ESSA, e abbiamo sempre affermato che il PREZZO DA PAGARE era TANTO e DOLOROSO, OGGI, lo era molto meno nel 2009 e NULLO SE NON ERAVAMO MAI ENTRATI, e sarà MOLTO di più per ogni giorno si permanenza, ma eravamo consci che questo prezzo che avremmo pagato per l’uscita era SICURAMENTE INFERIORE A QUELLO PER RESTARE NELL’EURO, con la CERTEZZA, CHE LA SOFFERENZA SAREBBE STATA PER UN NUMERO DI ANNI RELATIVAMENTE BREVI, se si sarebbero adottate MISURE PRECISE GIA’ SPERIMENTATE IN ARGENTINA, quindi non c’èra nulla da inventarsi, era già tutto scritto e documentato, bastava solo VEDERE cosa è SEMPRE SUCCESSO A TUTTI GLI STATI NELLA STORIA CHE HANNO LEGATO LA PROPRIA MONETA DEBOLE (Lira) AD UNA PIU’ FORTE (ECU poi EURO), FALLIMENTO ENTRO 10 ANNI.
Chi pensava che l’euro era ETERNO o chi pensava che Usciti dall’EURO tutto Tornava come prima per INCANTO evidentemente NON AVEVA CAPITO UN CAZ……, come noi abbiamo sempre SOSTENUTO, al contrario dei demagoghi in voga oggi.
Molti pensano che il Danno Maggiore dell’EURO è il DEBITO PUBBLICO, ERRONEAMENTE. i danni maggiori dell’EURO MONETA UNICA A CAMBIO FISSO, si chiamano Debito Estero di Privati e Aziende, Massacro della Piccola e Media Azienda Manifatturiera, attraverso la CHIUSURA, Riduzione e Smembramento, Svendita Costrittiva, conseguente MILIONI DI DISOCCUPATI e impoverimento del Ceto-Medio-Basso fino alla CANCELLAZIONE, Caduta Vertiginosa del PIL aggravata dai TAGLI ALLA SPESA, Distruzione di Pensioni e Stato Sociale, SVALUTAZIONE SALARIALE, Aumento delle IMPOSTE Dirette e Indirette, Tagli INSOSTENIBILI dei TRASFERIMENTI da STATO a COMUNI, Province, Regioni, Svendita e Regalie del Patrimonio Statale di BENI e AZIENDE in MANO a PRIVATI ESTERI e POCHI ELETTI ITALIANI, con CONSEGUENTE COLPO MORTALE di Riduzione di PERSONALE e IMPORTAZIONE DEI PROFITTI A BENEFICIO DEI LORO STATI D’APPARTENENZA, SQULIBRIO nella Bilancia dei Pagamenti, DIFFERENZIALE dei TASSI D’INTERESSE TRA NAZIONI, che penalizzano in modo significativo Imprese e Famiglie, COSTO PER ESM E UNIONE di Contribuzione per mantenere il Baraccone EURO, COSTO per Mantenere i Privilegi agli IMMIGRATI per far in modo che RESTINO per ABBASSARE IL COSTO DELLA MANODOPERA ITALIANA e poi dargli il DIRITTO DI VOTO quando gli ITALIANI si sarebbero accorti del PROGETTO CRIMINALE DELL’EURO e UNIONE EUROPEA, per limitare i DANNI ELETTORALI e conservare le POLTRONE.
Piccola Parentesi
Oggi un Quotidiano Internazionale titola così: “I Partiti Italiani fanno Esplodere la BOLLA MONTI”
I Quotidiani Italiani BOLLA MONTI non si sognano nemmeno di fare un tale titolo, perchè per loro Monti era una MANNA CADUTA DALLA MERKEL, chiamarlo BOLLA rende PERFETTAMENTE IL SENSO DEL NEO-LIBERISMO, e ciò che lo mantiene in VITA, proprio come l’EURO. Sono Italiano Fiero e non SOFFRO DI ESTEROFILIA, anzi è il contrario, ma per la STAMPA ITALIANA, salvo qualche GIORNALISTA come una Mosca Bianca, lo SONO! In Italia vige il REGIME DELLA BULIMIA DISINFORMATIVA assoldata in POCHE MANI CAPITALISTICHE E PARTITICHE, dove NON PREDOMINA LA LIBERTA’ e L’OGGETTIVA ANALISI DEI FATTI, ma la CENSURA e la DISTORSIONE DEI FATTI, dove vige una regola antica, “una bugia detta mille volte diventa una verità”
Chiusa la Parentesi eloquente ritorniamo al DOPO Euro, il nostro Programma è chiaro su cosa si deve fare e tengo a sottolineare che NON BISOGNA SBAGLIARE NULLA o Ignorare i Punti Fondamentali del Nostro Programma, che poi è quello già fatto dall’Argentina con qualche Modifica Adattata alla Nostra Nazione. La Cosa Fondamentale Indiscutibile che L’Ideologia NEO-LIBERISTA deve CONSIDERARSI MORTA, altrimenti sarà TUTTO INUTILE e ci sarà da SOFFRIRE PER DECENNI, pronti alla Prossima CRISI SISTEMICA. Ho si cambia RADICALMENTE con una VERA POLITICA e una VERA ECONOMIA dove vengono RISPETTATI,VALORI, Etica e Morale e i FONDAMENTALI oltre ai PRINCIPI BASE SCONTATI, sostituendo l’IO con il NOI POPOLO e NOI NAZIONE prima di TUTTO in funzione di NOI EUROPA e NOI MONDO o siamo Destinati a creare un MOSTRO DALLE CONSEGUENZE IMPENSABILI OGGI.
Vi posto come al Solito un’articolo di Alberto Bagnai che conferma alcuni punti che sono esplicati nel nostro programma a conferma che quello che affermiamo non è un’eresia ma io la considero una scelta OBBLIGATA se Realmente si vogliono cambiare le cose, altrimenti rimarranno come oggi se non peggio. Seguiremo il Professore come Sempre per ulteriori Spiegazioni, in modo particolare sul Contenimento dell’Inflazione, a tal proposito io ritengo che vada NECESSARIAMENTE INTRODOTTA LA SCALA MOBILE CHE SI ADEGUI SULL’INFLAZIONE REALE E NON SU QUELLA PROGRAMMATA COME IN PASSATO, oltre ad altri controlli e Strumenti come troverete nel programma del FRONTE.
Un vecchio detto Popolare Calabrese afferma: “di peggio in peggio non c’è mai fine”
Alberto Bagnai
Proviamo allora a unire i puntini.
Questa crisi richiede un deciso cambio di paradigma, che è fuori dalla portata di chi si ostina a difendere l’esistente, per difetto etico (collusione col potere, incapacità di ammettere un errore), o politico (incapacità di immaginare un cambio di rotta senza sopportare enormi costi in termini elettorali). Il nuovo paradigma, evidentemente, deve muovere dal superamento degli errori del vecchio, e da una percezione chiara, e articolata per priorità, dei problemi che abbiamo di fronte. Problemi, giova ricordarlo, che quando non sono stati creati, non sono stati nemmeno risolti dall’entrata nell’euro. Problemi, va anche detto, che non sono tutti alla nostra portata, né come singoli, né come collettività nazionale. Tuttavia se prima non si acquisisce una consapevolezza, è impossibile proporre un’azione politica tale da coinvolgere altri soggetti (siano essi il vicino di casa, o altre nazioni europee). L’agenda di quello che si può fare parte anche da una visione costruttiva, e non scaltramente distruttiva, di quello che non si può fare, o non da soli, o non adesso.
Il quadro sopra delineato chiarisce che l’uscita dall’euro, di per sé, non risolverebbe tutti i problemi. Ma questo nessuno potrebbe pensarlo, nessuno l’ha mai né creduto né detto né in Italia né altrove. Le analisi dei possibili percorsi di uscita dall’euro abbondano e sono facilmente consultabili su Internet. Da inventare c’è veramente poco, e nessuna fra le analisi proposte, che esamineremo in dettaglio, considera l’uscita dall’euro come risolutiva. Chi sostiene il contrario è disinformato o in cattiva fede.
Se abbiamo unito bene i puntini, l’agenda mi sembra sia evidente: bisogna smontare pezzo per pezzo le istituzioni partorite dai paradigmi fallimentari che hanno messo in crisi la nostra economia e soprattutto la nostra democrazia, seguendo quattro linee guida:
1) Uscire dall’euro, come affermazione di sovranità e di democrazia, riprendendo il controllo della politica valutaria.
2) Ristabilire il principio che la Banca centrale è uno strumento del potere esecutivo, e non un potere indipendente all’interno dello Stato.
3) Riprendere il pieno controllo della politica fiscale, non più costretta ad agire in funzione prociclica (cioè a rispondere alle crisi con tagli).
4) Adottare, nella misura consentita dagli atteggiamenti dei partner commerciali, e propugnare nelle sedi istituzionali, una politica di scambi con l’estero basata sul principio che squilibri persistenti della bilancia dei pagamenti, quale ne sia il segno, cioè siano essi surplus o deficit, devono essere simmetricamente combattuti, secondo il principio che abbiamo definito dell’External Compact.
Riprendere il controllo della politica valutaria significa, in primo luogo, lasciare che il tasso di cambio nominale torni a un valore più allineato con i fondamentali dell’economia. Per l’Italia, oggi, ciò implica una svalutazione non catastrofica, di un ordine di grandezza verosimilmente inferiore a quello sperimentato dalla lira dopo la crisi del 1992, o dall’euro nei primi due anni della sua introduzione. In nessuno di questi due precedenti storici l’Italia è stata devastata dall’iperinflazione. Discuteremo fra breve, razionalmente, quale sarebbe l’impatto di questo provvedimento sul nostro tenore di vita. Ma riprendere il controllo della politica valutaria significa anche rientrare in possesso di uno strumento che consenta di difendersi da shock esterni, siano essi determinati da crisi economiche, siano essi il risultato di politiche deliberate di aggressione commerciale (nelle pagine precedenti abbiamo visto esempi dell’uno e dell’altro caso).
Riprendere il controllo della politica monetaria significa:
1) Rifiutare il dogma dell’indipendenza della Banca centrale, e quindi l’art. 104 del Trattato di Maastricht, il quale al primo comma recita:
È vietata la concessione di scoperti di conto o qualsiasi altra forma di facilitazione creditizia, da parte della BCE o da parte delle Banche centrali degli Stati membri (in appresso denominate “Banche centrali nazionali”), a istituzioni o organi della Comunità, alle amministrazioni statali, agli enti regionali, locali o altri enti pubblici, ad altri organismi di diritto pubblico o a imprese pubbliche degli Stati membri, così come l’acquisto diretto presso di essi di titoli di debito da parte della BCE o delle Banche centrali nazionali.
Se ciò comporti un’uscita dall’Unione, o solo una sospensione dell’applicazione del Trattato, è materia controversa, la cui soluzione dipende comunque dall’atteggiamento delle controparti europee (ne parleremo più avanti). Certo, alla luce di quanto abbiamo detto finora, l’Italia, se intende difendere i valori fondanti della propria Costituzione, non può più permettersi di aderire a un progetto d’integrazione continentale fondato sul principio antidemocratico della costituzione di un “quarto potere” monetario indipendente. L’insofferenza crescente nelle sedi internazionali verso questo principio e verso l’ideologia ad esso sottostante potrebbero consigliare atteggiamenti interlocutori alle controparti europee.
2) Rivedere la riforma bancaria del 1994, ripensando il concetto di banca “universale” o “mista”, di derivazione tedesca, da essa introdotto, e
ristabilendo la separazione delle funzioni fra banca commerciale e banca d’affari, sancita in Italia dalla legge bancaria del 1936. Quest’ultima si ispirava al Glass-Steagall Act del 1933, che aveva riformato il sistema bancario statunitense smantellando i meccanismi che avevano fomentato la speculazione borsistica prima della crisi del 1929. Oggi numerosi commentatori (ad esempio, Stiglitz, 2012) attribuiscono all’abrogazione del Glass-Stegall Act una responsabilità diretta nella crisi finanziaria statunitense, e nei paesi anglosassoni è animato il dibattito sul cosiddetto
ring fencing (separazione delle funzioni)
[1].
3) Reintrodurre il “vincolo di portafoglio”, cioè l’obbligo per le banche di acquistare titoli di Stato fino a una certa quota del proprio attivo. Questa norma, introdotta nel 1973, aveva lo scopo di contenere il costo del debito pubblico, favorendone il collocamento. Essa venne abrogata nel 1983, “anche grazie all’incessante pressione di Mario Monti” (Zingales, 2012). Andreatta (1991) ricorda che il progetto complessivo di “divorzio” prevedeva la “costituzione di un consorzio di collocamento tra banche commerciali”, ma che “i tempi non erano maturi per affrontare questi aspetti e la Banca d’Italia preferì procedere solo sul nuovo regolamento della sua presenza nelle aste”. Prevalse insomma la “linea Monti”, che, come sempre, aveva motivazioni ideali “alte” (favorire l’efficienza allocativa del mercato), e conseguenze politiche più spicciole (orientare il conflitto distributivo). Vedremo che la reintroduzione di un simile vincolo viene data per scontata da tutte le proposte più sensate di smantellamento dell’euro, sia che provengano da economisti di sinistra come Sapir (2011b), sia da economisti espressione della comunità finanziaria come Bootle (2012).
Riprendere il controllo della politica fiscale significa evidentemente ripudiare gli obiettivi di pareggio di bilancio e di rientro coattivo del debito verso soglie prive di particolare valore economico, come quelle stabilite dal Fiscal Compact. Ciò posto, la politica fiscale dovrebbe:
1) Nel breve periodo, stimolare l’economia attraverso una politica di piccole opere volte:
a. alla riqualificazione del patrimonio pubblico (edilizia scolastica, patrimonio artistico e archeologico, ecc.);
b. alla messa in sicurezza del territorio (viabilità locale, monitoraggio e gestione del rischio idrogeologico, ecc.);
c. all’integrazione e riqualificazione degli organici della pubblica amministrazione, stabilizzando le posizioni precarie, normalizzando i percorsi di carriera e le procedure di reclutamento.
Queste misure devono avere come obiettivo complementare quello di rilanciare l’occupazione, riportando rapidamente il tasso di disoccupazione sotto al 6%, e riattivando il tessuto economico del paese, tramite la valorizzazione del tessuto delle piccole e medie imprese.
2) Nel medio-lungo periodo, finanziare e gestire misure che favoriscano la crescita sostenibile e la competitività del paese, da orientare secondo i seguenti assi prioritari:
a. Definire le linee di un piano energetico nazionale che affronti il tema del contenimento degli sprechi e dell’incentivazione delle energie rinnovabili, adeguando il paese alle best practices europee, con l’obiettivo minimo di rispettare l’obiettivo definito dalla strategia europea 20-20-20 (Parlamento Europeo, 2008), rispetto alla quale l’Italia si trova in ritardo (Deutsche Bank, 2012), e l’obiettivo strategico di ridurre la dipendenza da fonti fossili, che vincola la crescita del paese.
b. Adeguare, anche in questa ottica, gli investimenti in istruzione e ricerca al livello dei partner europei, portando la spesa in ricerca e sviluppo dall’1% al 2% del Pil, riaffermando il ruolo chiave dello Stato nell’incentivazione e nella tutela della ricerca fondamentale.
c. Recuperare il digital divide (ritardo nell’uso delle tecnologie digitali) che separa l’Italia dagli altri paesi industrializzati e ne penalizza la crescita, adeguando il paese ai requisiti dell’Agenda Digitale Europea (Unione Europea, 2012c; Messora, 2011).
d. Adeguare la dotazione infrastrutturale del paese, con particolare riguardo alle reti di trasporto locale.
e. Promuovere una riforma strutturale della Pubblica Amministrazione volta all’abbattimento dei costi della politica e della corruzione, incidendo in particolare sulla disciplina delle società a partecipazione pubblica (disciplina delle nomine, ripristino dei controlli di legittimità sugli atti, ecc.), e su quella delle autonomie locali attuata con la riforma del Titolo V della Costituzione (Barra Caracciolo, 2011).
Certo, immagino le perplessità: queste sono solo affermazioni di principio, ma poi, le difficoltà pratiche, le ritorsioni degli altri paesi, l’Italia è piccola, la liretta, il mutuo di casa, l’iperinflazione… Giusto! Si tratta, in effetti, di affermazioni di principio, che devono essere precisate nel contenuto (ma questo è un compito politico, e questo non è un programma elettorale), e, soprattutto, che lasciano indietro due ordini di problemi: come gestire in pratica l’uscita (cosa succede al mutuo, ecc.), e come guidare il paese nella fase di transizione (come contenere l’inflazione, come comportarsi rispetto ai partner europei, ecc.). Ne parleremo, promesso. Prima, però, sgombriamo il campo da equivoci pericolosi.